L’incertezza non ci piace. È una pressione che aumenta lentamente, come quando metti un elastico dopo l’altro attorno a un cocomero. Hai presente che succede, no? Ecco, il mio 2021 è stato avvolto da diversi elastici, che hanno premuto, stretto forte, fino a che qualcuno, meno male, è saltato ed ha allentato la presa. Condivido qui alcune riflessioni e certezze ritrovate dell’anno che è appena passato.
Concentrazione
Ho sempre avuto un vizio: fare troppe cose insieme. L’incipit di questa cattiva abitudine penso però sia positivo. Mi sento sempre stimolato a fare qualcosa di nuovo. Il problema è che il tempo è limitato e col fare troppe cose si finisce spesso a combinare poco. Le energie si disperdono in tante direzioni.
È più di un anno che lavoro dietro le quinte ad un progetto legato a servizi integrati di marketing digitale per aziende e professionisti e non ti dico quante porte in faccia ho preso.
Ok, te lo dico: tante.
Non l’ho ancora lanciato ufficialmente, un po’ per capire io se non fosse l’ennesimo fuoco di paglia, un po’ perché sto ancora costruendo alcune parti importanti. Se non altro, nonostante gli inghippi, posso dire di essere contento di questo: sono concentrato su una cosa sola.
Sto imparando parecchie cose nuove, nonostante i metodi non sempre morbidi, e pian piano vedo le idee schiarirsi e prendere forma.
Nel 2021 ho investito tempo e risorse verso una direzione. Dal corso con Harvard Business School Online per approfondire le strategie di innovazione, all’Academy di Julian Cole per diventare uno strategist più bravo. Dai progetti di strategia digitale, alle consulenze di marketing. Dalle collaborazioni con altri freelance, alle certificazioni di advertising.
È una sfida personale e la bussola segna ancora questa direzione per il 2022.
Disegni
Il disegno è una mia grande passione, per qualcuno non è una novità. Mi è sempre piaciuto, fin da piccolo, quando tenevo un quadernino in cui scopiazzavo i miei Pokémon preferiti dalle figurine.
Negli ultimi dieci anni circa, da quando ho ripreso a disegnare, mi sono spesso posto un interrogativo: “Che ruolo ha il disegno nella mia vita?”
Mi spiego. Diverse persone mi fanno apprezzamenti per i disegni e mi dicono: “Dovresti coltivare questa passione!” – “Perché non disegni più? Hai talento!” – “Perché non vendi i tuoi disegni?” Cose così.
Da qui mi sono spesso chiesto: “Dovrebbe diventare un lavoro? Dovrei disegnare di più? Dovrei guadagnarci dei soldi?”
Al momento mi sono detto di no, va bene così. Resta un passatempo che mi piace e mi fa stare bene.
Lo scorso anno ho venduto le mie prime stampe in modo sporadico ed è stata una bella soddisfazione, lo ammetto. Tuttavia credo che non tutto debba essere per forza monetizzato.
Il mantra “fai della tua passione il tuo lavoro”, se permetti, è un po’ ‘na cazzata se inseguito a tutti i costi. Il lavoro, inteso con il fare qualcosa per soldi, può tranquillamente distruggere una cosa che ci piace fare. Il come facciamo le cose pesa sulle cose stesse.
Nonostante ciò, questa passione è rimasta sempre un po’ nascosta, nel limbo tra il lavoro nel marketing e la cartellina gialla in cui tenevo i disegni che completavo, o lasciavo a metà.
Lo scorso anno così è nato Disdamar, che al momento non ha l’ambizione di essere un progetto attivo, ma più uno spazio dedicato a questo mio interesse. Quando lavorerò su nuovi disegni, saprai dove trovarli.
Morte
Niente dura per sempre. Chissà quante volte l’abbiamo sentita questa frase. Eppure ce ne scordiamo. Pensiamo costantemente a riempire la vita, perché così siamo fatti e così ci piace. Finisce poi che ci troviamo tremendamente sorpresi dalla rottura degli equilibri, dal venir meno, dalla sottrazione.
Ho vissuto a Gambellara da 0 a 22 anni circa, in un contesto di “famiglia allargata”. Immaginatelo così: vigneti e colline, casa mia da un lato, un cortile comune nel mezzo, casa dei miei nonni materni e dei miei zii dall’altro lato. È sempre stato un bell’ambiente, sereno, pacifico. Un po’ da Mulino Bianco.
La quotidianità per me era composta non solo da mia mamma, mio papà e mio fratello, ma da questa vera e propria famiglia estesa.
Vivo a Milano da qualche anno ormai, eppure nel 2021 ho percepito in modo chiaro un vuoto. Un equilibrio che si è spezzato.
A luglio nonno ha lasciato la casa e il cortile più vuoti. Ha lasciato anche tristezza. Tutto è successo in poche settimane.
Già manca a quella pigrona di Maggie, ai pomodori dell’orto, alla nonna, al “Pandino” grigio, agli amici del bar, alla “famiglia allargata”…
Niente dura per sempre. È così e basta. Oggi posso solo dirgli grazie del tempo condiviso, da quando ero un piccolo sgorbietto che sapeva solo piangere, a quando ho dovuto scrivergli su un biglietto in cosa mi ero laureato, perché lo potesse raccontare al bar.
Si è fatto voler bene.
(Dis)connessione
Viviamo in un mondo iper-connesso che, paradossalmente, mi ha completamente disconnesso.
Nella prima parte dell’anno si è venuta a creare lentamente una situazione pesante. Sai quando tutto è fuori tempo? Ecco, una cosa così. Complice il coronavirus, tante relazioni con amici si erano spaccate, dilatate, dissolte. Il lavoro aveva subito delle deviazioni rispetto ai piani… Mi sentivo lontano dai miei obiettivi, lontano dagli amici, lontano dalla vita appagante che stavo cercando.
I social, Instagram in particolare, erano diventati una finestra di evasione preponderante nelle mie giornate. Sì, ma non proprio un’evasione sana.
Lavoro da anni nel marketing digitale, che per capirci è composto in buona parte dai social media. Piattaforme come Facebook e Instagram sono cresciute a dismisura, sia in termini di adozione, che in termini economici. E fino ad oggi non ci si era mai tanto preoccupati degli effetti dell’utilizzo di questi strumenti.
Bene, oggi sappiamo che di effetti ce ne sono. Non sono strumenti “neutrali”. Per approfondire, ti consiglio di dare un’occhiata al documentario “The Social Dilemma”, o al report sugli effetti negativi causati da Instagram sui giovani.
Ammetto di aver avuto qualche momento di crisi nel mio rapporto con i social.
Un giorno mi sono messo a fare una bella autoanalisi (5 Whys), di quelle che ogni tanto mi serve fare. Mi sono chiesto perché facevo alcune cose: perché tenevo i social, perché creavo determinati contenuti, perché li pubblicavo… Ho cercato di slegare l’atto del creare, dall’atto del pubblicare. Ho scavato a fondo su varie cose, insomma.
Che cosa è uscito? Meno cose positive e più negative, tra cui: bisogno di attenzione, di approvazione, di piacere. Tutti bisogni che cercavano soddisfazione in modo subdolo, attraverso gesti apparentemente innocui.
Lo scrivo serenamente, anche se agli occhi di qualcuno può farmi sembrare fragile. Tanto lo siamo tutti, c’è soltanto chi lo nasconde e chi no.
Era diventato più chiaro che il mio bisogno di creare, che è positivo e mi fa stare bene, si era mescolato, anche per via del momento, ad una dinamica tossica, che viaggiava sempre in superficie con una maschera bella e patinata.
E così ciao profilo Instagram personale, con la buona pace dei miei miliardi di followers.
Per chiarire: lavoro ancora con i social e tengo il profilo di @disegnidamarte, ma ne faccio un utilizzo completamente diverso. Pubblico disegni di tanto in tanto e seguo principalmente artisti/creativi. That’s it. Ci passo drasticamente meno tempo di prima e sto bene così.
Con questo non critico chi utilizza Instagram per farsi i selfie. Liberi tutti. Trovo che i social siano ottimi strumenti di business, ma credo ci sia da fare attenzione al loro utilizzo nella sfera personale.
Come resto in contatto con gli amici stretti ora? Li sento al telefono, su Whatsapp, o li vedo di persona. Da non credere, vero?
Famiglia
Quante cose diamo per scontate ogni giorno. Se è vero che mi sono disconnesso dallo stare bene per un po’, è anche vero che da sempre ho la fortuna di avere delle persone fantastiche nella mia vita.
Sì, perché di fortuna si tratta. Non le ho scelte e, onestamente, non poteva capitarmi di meglio.
Quest’anno ho sentito in modo particolare questa gratitudine nei confronti dei miei genitori. Ho pensato a quanto sia stato tosto crescere me e mio fratello per tutti questi anni, a farci rigare dritto, a non farci mancare mai nulla: né affetto, né comodità, né opportunità.
A quanto sia stato difficile fare sempre la spesa, inventarsi qualcosa da preparare per cena, tenere la casa pulita, accompagnarci agli allenamenti, dal dottore, dal dentista… A quante ore di lavoro, magari controvoglia, hanno dedicato per farci vivere serenamente.
A quanto è stato difficile restare positivi, non farsi abbattere ed essere sempre di supporto quando ne avevamo bisogno.
Questa è fortuna bella e buona.
Grazie mamma, grazie papà.
Accettazione
Non so se ho interiorizzato completamente questa cosa, ma se non altro, lo scorso anno ho scoperto degli esercizi di meditazione che mi stanno aiutando davvero molto a gestire lo stress dovuto all’incertezza e agli imprevisti.
Quante volte abbiamo sperato che le cose andassero in un modo, e invece sono andate in un altro. Quante volte ci siamo impegnati come dei forsennati per raggiungere un obiettivo, e lo abbiamo mancato. Quante volte abbiamo visto qualcuno raggiungere l’obiettivo che puntavamo noi, e siamo rimasti amareggiati.
Quando le cose non vanno esattamente come vogliamo, ci viene da chiederci se per caso non ci siamo impegnati abbastanza, o se non siamo stati sufficientemente bravi, o ancora, se siamo solamente stati sfigati.
Difficile dare una risposta certa, in ogni caso. Penso però una cosa: gli eventi della nostra vita dipendono al 50% da noi e al 50% dall’universo, o da dio, a seconda di ciò in cui crediamo. La vita un po’ ci dà quello che vogliamo, un po’ ci dà quello che vuole lei. E non si può trattare. Non facciamo noi certe regole.
Per cui, c’è poco da incazzarsi, risentirsi, o farsi il sangue amaro. Basta che ci guardiamo intorno: vediamo tutti i giorni cose che riteniamo ingiuste e insensate. Abbiamo il controllo e la certezza che non capitino anche a noi? No, non ce l’abbiamo. Dobbiamo fare pace con noi stessi e metterci nella testa e nel cuore che le cose funzionano così.
Forse questa accettazione è solo temporanea, o forse, come spero, è qualcosa di più maturo. Ad ogni modo, in questo momento sento che mi sta aiutando a vivere in modo più sereno, ad apprezzare di più la quotidianità e a flagellarmi di meno se non ho spuntato le caselle imprescindibili che la società ci mette sotto il naso tutti i santi giorni.
Chiudo con leggerezza, con una foto del bel viaggio a Tenerife fatto negli ultimi giorni. Erano ormai 2 anni che non facevo viaggi e iniziavano a mancarmi. Ti dirò, mi stavo quasi abituando ai 28 gradi a dicembre… a parte qui, sul cucuzzolo del vulcano Teide, a più di 3.500 metri.
Un po’ in ritardo, ma di settimane davanti ne abbiamo ancora molte: non ti auguro soltanto un anno buono, ma un anno grandioso.
Un abbraccio, a presto.
Fede

Federico Marte
Appassionato di soluzioni creative, disegno a matita e viaggi zaino in spalla. Come Consulente Marketing, aiuto aziende e startup a crescere grazie a Strategia, Advertising e CRM.
Gran bell’articolo. Svela tanto di te, fin nel profondo, mi piace pensare che la nostra generazione sia composta da persone con la tua sensibilità. È raro, te lo assicuro.
Buona vita!
Grazie mille Luca, apprezzo molto.